sabato 3 luglio 2021

Perché Hitler influenza ancora oggi l'educazione dei bambini

 



Un bestseller e le sue innumerevoli conseguenze

 

Nel 1934, la dottoressa Johanna Haarer pubblicò la sua guida Die deutsche Mutter und ihr erstes Kind (La madre tedesca e il suo primo figlio). Il libro vendette 1,2 milioni di copie e divenne un testo base per l'educazione, utilizzato anche negli asili, negli istituti e nei corsi di formazione alla maternità durante il periodo nazista.

Nel suo testo, la Haarer raccomanda alle madri di fare in modo che i figli crescano sviluppando il minor attaccamento possibile. Se il bambino piange, bisogna lasciarlo piangere, evitando a tutti i costi un tenerezza eccessiva.

Gli studiosi temono che questo abbia provocato in quei bambini dei disturbi dell'attaccamento. Disturbi che sono stati poi trasmessi di generazione in generazione.

 

Perché Hitler influenza ancora oggi l'educazione dei bambini

 

Per avere una generazione di fedeli seguaci, i nazisti imposero alle madri di ignorare i bisogni dei loro figli. Persino i nipoti soffrono ancora per quelle relazioni spezzate.  Un'analisi di Anne Kratzer

 

Vorrebbe amare i suoi figli, ma non ci riesce fino in fondo. Renate Flens arriva allo studio della psicoterapeuta Katharina Weiß con una depressione. Ben presto la psicoterapeuta inizia a sospettare che dietro ai problemi della sua paziente si nasconda in fondo la frustrazione di non essere capace di permettere alle persone di avvicinarsi a lei. 

 

Dopo una lunga ricerca nel passato di Renate Flens, le due donne credono finalmente di aver trovato la colpevole: la dottoressa Johanna Haarer, che all'epoca del nazionalsocialismo scriveva manuali spiegando come crescere i bambini per il Führer. Eppure Renate Flens – nome di fantasia - è nata negli anni '60 - cioè dopo la guerra. Ma i libri di Haarer erano stati dei bestseller e anche nella Germania del dopoguerra, copie delle sue opere si potevano trovare in quasi tutte le case. Investigando sul tema con la terapeuta, Renate Flens ricordò di aver visto anche dai suoi genitori un libro della Haarer. 

 

Un aspetto particolarmente perfido della filosofia educativa della Haarer potrebbe anche essere stato tramandato di generazione in generazione: al fine di renderli buoni soldati e fedeli seguaci, il regime nazista esortava le madri a ignorare di proposito i bisogni dei loro bambini che si voleva provassero poche emozioni e senso dell'attaccamento. Se un'intera generazione è stata sistematicamente educata a non stringere legami con gli altri altri, cosa può insegnare a figli e nipoti? 

 

"Analisti e ricercatori si sono occupati a lungo di questo argomento, che invece è stato ignorato dal grande pubblico”, afferma Klaus Grossmann, nel suo ultimo studio all'Università di Regensburg, scritto dopo aver condotto studi sull’attaccamento madre-bambino già negli anni '70. Nelle sue osservazioni aveva osservato ripetutamente scene come questa: un bambino sta piangendo, la madre cammina verso il bambino, ma si ferma poco prima di raggiungerlo. Anche se il suo bambino sta piangendo a pochi metri di distanza, lei non accenna a prenderlo in braccio o a confortarlo. "Quando chiedevamo alle madri perché si comportassero in questo modo, dicevano che era soprattutto per non viziare il bambino".

 

Tali affermazioni e modi di dire come "Un indiano non conosce il dolore" si sentono ripetere spesso ancora oggi. Anche il bestseller Ogni bambino può imparare a dormire di Annette Kast-Zahn e Hartmut Morgenroth indicano una strada che va nella stessa direzione. Il libro consiglia di coricare da soli in una stanza i bambini che hanno difficoltà ad addormentarsi, o a dormire in modo continuativo, di controllarli e parlare con loro a intervalli sempre più lunghi, ma senza mai prenderli in braccio, anche se stanno piangendo.

 

"È meglio mettere il bambino in una stanza tutta sua, dove poi rimarrà da solo", scriveva anche Johanna Haarer nel suo manuale del 1934, La madre tedesca e il suo primo figlio. Se il bambino comincia a piangere o urlare, va ignorato: "Non cominciate a prendere il bambino dal letto, a tenerlo in braccio, a cullarlo, o a tenerlo in grembo, e tantomeno ad allattarlo. Il bambino capisce incredibilmente in fretta che ha solo bisogno di gridare per richiamare un'anima compassionevole e diventare l'oggetto delle sue cure. Dopo poco esigerà questa attenzione come un diritto e non darà più tregua fino a quando non sarà di nuovo preso in braccio e cullato. A questo punto sarà diventato il piccolo ma implacabile tiranno domestico!".

Il bambino come un tormentatore la cui volontà deve assolutamente essere spezzata - era questo il modo in cui Johanna Haarer vedeva i bambini. Ancora oggi si percepiscono le conseguenze di un tale approccio. Alcuni ricercatori, medici e psicologi ipotizzano che il basso tasso di natalità, i numerosi divorzi, l’alto numero di persone che vivono sole, i tantissimi casi di burn-out, di depressione e in genere di malattie mentali potrebbero essere la conseguenza della mancanza di emozioni e attaccamento.

 

Rigorosamente considerate, le ragioni di queste circostanze sociali sono certamente molteplici. Eppure l'influenza della Haarer può ancora essere rintracciata in alcuni casi clinici, come nel caso della paziente di Katharina Weiß. "Di solito in queste terapie ci sono in primo piano temi molto diversi. Eppure dopo un po' emergono tratti che rimandano chiaramente alla Haarer: disgusto per il proprio corpo, rigide regole alimentari o incapacità a relazionarsi", afferma la psicoanalista.

 

Anche lo psichiatra e psicoterapeuta Hartmut Radebold racconta di un suo paziente con gravi difficoltà di relazione e di identità. Anche quest’uomo aveva poi trovato a casa un grosso quaderno nel quale sua madre aveva annotato innumerevoli informazioni sul suo primo anno di vita: peso, altezza, o frequenza di defecazione - ma non una sola parola sui sentimenti.

 


Colmare di affetto il bambino, anche ad opera di terze persone, può essere nocivo e alla lunga renderlo effeminato.

Johanna Haarer in " La madre tedesca e il suo primo figlio" (manuale per genitori del 1934).

 "Il bambino va nutrito, lavato e asciugato, ma per il resto va lasciato completamente solo", consigliava Johanna Haarer. Essa descrisse in dettaglio ogni aspetto fisico, ignorando però completamente il lato psicologico e mettendo continuamente in guardia nei confronti degli atteggiamenti affettuosi che definiva “scimmieschi”: "Colmare di affetto il bambino, anche ad opera di terze persone, può essere nocivo e alla lunga renderlo effeminato. Alla madre, così come al bambino tedesco, si addice una certa frugalità in queste cose”. Subito dopo la nascita, sosteneva, è bene isolare il bambino per 24 ore, invece di parlargli in uno "stupido e ridicolo linguaggio infantile". La madre deve parlargli esclusivamente in "tedesco razionale" e se il bambino piange, va lasciato piangere. Questo rafforzerebbe i polmoni e anche il bambino.

 

 

Evitare il contatto fisico

 

I consigli della Haarer si presentavano con apparenza moderna e scientifica, ma erano – questo era in realtà già noto anche all'epoca - sbagliati e persino dannosi. I bambini hanno bisogno del contatto fisico, mentre la Haarer raccomandava di ridurre al minimo tale contatto, persino quando si teneva in braccio il bambino. Consigliava fortemente una postura del tutto innaturale, illustrata anche con immagini: le madri tengono i loro figli in modo da toccarli il meno possibile, e se li guardano, non li guardano mai negli occhi.

 

 

Un'educazione concepita per ottenere soldati insensibili

 

 Esperienze del genere possono essere traumatizzanti. Tra il 2009 e il 2013, la psicologa Ilka Quindeau e i suoi colleghi dell'Università di Scienze Applicate di Francoforte furono incaricati dal Ministero Federale dell'Educazione e della Ricerca di studiare la generazione dei bambini di guerra. Il loro studio doveva in realtà concentrarsi sugli effetti tardivi dei bombardamenti e della fuga. Ma dopo le prime interviste, i ricercatori dovettero cambiare l’impostazione del loro studio: durante le conversazioni emersero così spesso le esperienze familiari che decisero di aggiungere un'ulteriore intervista su questo argomento, intervista che durò per ognuno diverse ore. Alla fine, i ricercatori conclusero: "Queste persone hanno mostrato un modello di lealtà sorprendentemente forte verso i loro genitori. Il fatto che non sia stato evocato nessun tipo di conflitto è un segno di disfunzione della relazione". Quindeau fece inoltre notare che in nessun'altra parte d'Europa c'era un tale e così ampio interesse per i “bambini della guerra” come in Germania, benché anche negli altri paesi ci fossero state distruzioni e bombardamenti.

Nel 1949 la psicanalista austro-britannica Anna Freud scoprì che i bambini che mostravano un buon legame con i propri genitori percepivano la guerra in modo meno grave rispetto a quelli che non l'avevano. Quindeau, valutando congiuntamente questi studi, ritenne che i racconti dei bambini della guerra su bombardamenti e espulsioni fossero in realtà il racconto del disastro delle loro esperienze familiari. Queste esperienze così dolorose erano diventate indicibili.

 

 

Incapaci di provare sentimenti

 

Questa interpretazione è comunque difficile da dimostrare. Gli studi randomizzati che esaminano sperimentalmente l'influenza dei consigli educativi della Haarer non sono fattibili per ragioni etiche. Ma anche le ricerche che non si occupano esplicitamente dell'educazione nel Terzo Reich hanno fornito prove preziose, afferma Grossmann. "Tutti i dati che abbiamo indicano quanto segue: Se si priva un bambino della reattività sensibile nel primo-secondo anno di vita - come sosteneva Johanna Haarer - il bambino svilupperà capacità emozionali e reattive in maniera estremamente limitata”.

 

Questo studioso dell'attaccamento indica, tra l'altro, un lungo studio pubblicato nel 2014 sulla rivista Pediatrics da un team guidato dalla psichiatra Mary Margaret Gleason della Tulane University di New Orleans, Louisiana. Gleason e i suoi colleghi divisero in due gruppi 136 orfani rumeni, di età compresa tra sei mesi e quattro anni: un gruppo fu cresciuto in istituto, mentre gli altri furono dati a famiglie affidatarie. I bambini della regione, cresciuti con i loro genitori biologici servirono da gruppo di controllo. Furono riscontrati problemi di linguaggio e attaccamento sia nei bambini rimasti in istituto che in quelli dati in affido. Vediamo ad esempio questo esperimento con 89 soggetti: un estraneo entra dalla porta e chiede ai bambini di seguirlo senza dare spiegazioni. Il 3,5% dei bambini del gruppo di controllo lo segue, rispetto al 24,1% dei bambini in affidamento e ben il 44,9% dei bambini in istituto. 

 

"Questi bambini, che non pensano e non provano sentimenti, sono ottimi cittadini di una nazione guerriera", dice Karl-Heinz Brisch, psichiatra e psicoterapeuta presso l'ospedale pediatrico Dr. von Haunerschen dell'Università Ludwig Maximilian di Monaco. D'altronde anche nell'antica Sparta i bambini venivano educati con questo obiettivo, afferma. "Il principio di Johanna Haarer è che non vada data attenzione al bambino quando esso la richiede. Ma ogni rifiuto significa anche rigetto", spiega Grossmann. Un neonato dispone solo di gesti e mimica per comunicare. Se non ottiene nessuna reazione, imparerà che le sue comunicazioni espressive non hanno nessun valore. I neonati provano inoltre una paura mortale quando sentono la fame o la solitudine e quando non vengono tranquillizzati da chi li accudisce. Nel peggiore dei casi tali esperienze possono in seguito provocare un trauma da attaccamento che rende difficile più tardi nella vita a queste persone formare relazioni con altre persone. 

 

 

Suggerimenti educativi della pneumologa

 

La Haarer, che era appunto una pneumologa e non aveva una formazione né pedagogica né pediatrica, fu comunque convintamente sostenuta dai nazionalsocialisti. I consigli contenuti nel suo libro, La madre tedesca e il suo primo figlio, furono insegnati nei cosiddetti corsi di formazione alla maternità del Reich. I corsi avevano lo scopo di insegnare a tutte le donne tedesche delle regole uniformi per la cura dei bambini. Solo nell'aprile 1943, almeno tre milioni di donne vi avevano preso parte. Inoltre il suo manuale era la base dell'educazione impartita in asili e comunità.

 


Ancora prima di pubblicare la sua “bibbia dell’educazione”, Johanna Haarer aveva già scritto per alcuni giornali sul tema della cura dei bambini. In seguito pubblicò altri libri, tra cui Mutter, erzähl von Adolf Hitler (Madre, racconta di Adolf Hitler), una sorta di favola intrisa di antisemitismo e anticomunismo in forma comprensibile ai bambini, e Unsere kleinen Kinder (I nostri bambini piccoli), un'altra guida per genitori. Dopo il periodo nazista, la donna originaria di Monaco di Baviera, fu internata per un anno e mezzo. Secondo due delle sue figlie, rimase comunque un'entusiasta nazionalsocialista fino alla sua morte sopravvenuta nel 1988. Non solo la sua personale visione educativa sopravvisse al Terzo Reich, ma anche la sua opera principale Die deutsche Mutter und ihr erstes Kind (La madre tedesca e il suo primo figlio), che rimase in circolazione ancora per molto tempo. Dalla pubblicazione alla fine della guerra il libro vendette 690.000 copie, promosse dalla propaganda nazista. Ma anche dopo la guerra, in una versione epurata dal gergo nazista più grossolano, ne vendette altrettante. Nel 1987 il totale delle vendite era di 1,2 milioni di copie.

 

Di generazione in generazione

 

Questi numeri mostrano quanto fascino avesse ancora nel dopoguerra la visione del mondo secondo la Haarer. Innanzi tutto bisogna chiedersi perché le madri implementarono un approccio così innaturale. "Non erano tutte d’accordo", sostiene Hartmut Radebold. Lo psichiatra, psicoanalista e scrittore, studiò a fondo la generazione dei bambini di guerra. Egli presume che la guida educativa della Haarer abbia avuto un'influenza in particolare su due gruppi: sui genitori che si identificavano fortemente con il regime nazista, e sulle giovani donne che - spesso a causa della prima guerra mondiale - provenivano da famiglie distrutte e quindi non sapevano cosa e come fosse una buona relazione. Se inoltre si ritrovavano sole, perché i mariti stavano combattendo al fronte, erano anche sopraffatte e insicure, e quindi particolarmente ricettive nei confronti della propaganda educativa della Haarer. 

 

Inoltre anche prima del 1934 un’educazione estremamente rigorosa era già pratica comune in Prussia.


Grossmann ritiene che solo una cultura con una certa precedente inclinazione verso queste idee di durezza e di imposizioni avrebbe potuto attuare cose del genere. Questo coinciderebbe anche con i risultati degli studi degli anni '70, che indicano, per esempio, che a Bielefeld in quel periodo circa un bambino su due mostrava un comportamento di attaccamento insicuro, mentre a Ratisbona, nella Germania meridionale, che non è mai appartenuta alla sfera di influenza prussiana, nemmeno un bambino su tre. 

 

Per valutare quanto è sicuro il legame tra madre o padre e bambino, Grossmann e altri ricercatori usano spesso lo Stranger Situations Test (experiments on attachment quality) sviluppato dalla psicologa statunitense Mary Ainsworth. In tale esperimento, una madre entra in una stanza con il suo bambino e lo mette a sedere con un giocattolo vicino. Dopo 30 secondi si siede su una sedia e legge una rivista. Dopo non più di due minuti, suona un segnale per ricordare alla madre di incoraggiare il bambino a giocare, in caso non lo stia già facendo. A ulteriori intervalli, da uno a tre minuti, si svolgono poi le seguenti scene: una donna sconosciuta appare nella stanza e tace, poi le due donne parlano tra loro, la sconosciuta si occupa del bambino, la madre mette la sua borsetta sulla sedia e lascia la stanza. Dopo poco la madre torna nella stanza e la sconosciuta se ne va. Poco dopo se ne va anche la madre, lasciando il bambino da solo. Dopo alcuni minuti la sconosciuta torna nella stanza e si occupa del bambino, solo dopo arriva la madre. 

 

Gli studiosi dell'attaccamento hanno osservato attentamente il comportamento del bambino. Se è brevemente irritato e piange nella situazione di separazione, ma si calma velocemente, si considera che abbia un saldo rapporto di attaccamento. Se non si calma - oppure non reagisce per niente alla scomparsa della mamma - si considera che abbia un rapporto di attaccamento insicuro. Grossmann ha fatto il test in diversi contesti culturali. Durante le osservazioni lo studioso ha constatato che in Germania, diversamente da altri paesi occidentali, un numero particolarmente elevato di adulti sarebbe positivamente impressionato dal fatto che i bambini non reagiscano alla scomparsa della mamma o della principale persona di riferimento. I genitori percepiscono tale comportamento come quello di una personalità "indipendente". 

 

 

Come i genitori così i bambini

 

Tali studi suggeriscono inoltre che i bambini, una volta divenuti adulti e genitori a loro volta, trasmettano inevitabilmente questo tipo di relazione dell’attaccamento alla generazione successiva. In uno degli studi compiuti, Grossmann e colleghi hanno anche osservato lo stile di attaccamento dei genitori dei bambini osservati, con l'aiuto di interviste realizzate quattro o cinque anni dopo aver effettuato lo Stranger Situation Test. Nella loro valutazione, gli studiosi hanno incluso non solo il contenuto delle risposte, ma anche le emozioni degli adulti durante l'intervista. Per esempio, i ricercatori hanno annotato anche tratti dei soggetti come cambiare spesso argomento, dare solo risposte monosillabiche o generalizzare troppo, lodando i propri genitori senza descrivere situazioni specifiche. Il risultato della pubblicazione del 1988 fu che tra i 65 casi di genitori e figli analizzati, il tipo di relazione di attaccamento dei bambini corrispondeva a quello dei loro genitori con una frequenza dell’80%. Una meta-analisi pubblicata nel 2016 dal gruppo di ricercatori guidati da Marije Verhage dell'Università di Amsterdam, che aveva analizzato i dati di 4.819 persone, confermò l'effetto della trasmissione del tipo di relazione di attaccamento da una generazione all’altra.

 

In che modo esattamente i genitori trasmettano le esperienze negative della propria infanzia ai figli è ancora oggetto di varie teorie. Tuttavia è ormai riconosciuto che anche i fattori biologici possano avere un ruolo importante. Nel 2007, per esempio, Dahlia Ben-Dat Fisher della Concordia University di Montreal e i suoi colleghi constatarono che la prole di madri che erano state trascurate durante la loro infanzia mostrava al mattino livelli regolarmente più bassi dell'ormone dello stress, il cortisolo. I ricercatori interpretano questo fatto come un segno di elaborazione anormale dello stress. 

 

Nel 2016, un team guidato da Tobias Hecker dell'Università di Zurigo confrontò i bambini della Tanzania che avevano affermato di aver subito molta violenza fisica e psicologica con quelli che avevano riferito solo un piccolo abuso. Nel primo gruppo, constatarono non solo una maggiore incidenza di problemi medici, ma anche una metilazione anomala del gene che codifica la proteina proopiomelanocortina. Questo è il precursore di tutta una serie di ormoni, tra cui l'ormone dello stress adrenocorticotropina, che è prodotto nella ghiandola pituitaria. I modelli di metilazione del DNA alterati possono influenzare l'attività di un gene - e con ogni probabilità essere trasmessi di generazione in generazione. Gli studiosi osservarono questo fenomeno in dettaglio negli esperimenti sugli animali, ma il quadro è meno chiaro rispetto a quanto avvenga negli esseri umani. 

 

A livello comportamentale, si può trasmettere solo ciò che si conosce in termini di esperienza, spiega Grossmann. Per essere sicuri, i genitori possono consapevolmente confrontarsi con la propria esperienza di attaccamento e cercare di crescere i propri figli in modo diverso. "Ma nei momenti di stress, spesso si ricade nei modelli appresi e inconsci", dice Grossmann. Forse è per questo che Gertrud Haarer, la più giovane delle figlie di Johanna Haarer, non volle mai avere figli. Criticò pubblicamente sua madre e, dopo una grave depressione, scrisse un libro sulla vita di sua mamma e sulle sue idee. La figlia stessa riconosce di essere stata a lungo una persona incapace di avvicinarsi agli altri e inoltre confessa di non avere memoria della sua infanzia. "Evidentemente sono stata talmente traumatizzata da pensare di non essere in grado di crescere dei bambini", ha spiegato in un'intervista alla Bayerischer Rundfunk. 

 

 Fonte: https://www.spektrum.de/news/paedagogik-die-folgen-der-ns-erziehung/1555862

Questa traduzione è apparsa in tre puntate sul settimanale Il Patto Sociale:

La prima parte si trova qui.

La seconda parte qui.

La terza parte qui.