Il Tribunale
costituzionale tedesco delimita gli effetti nel diritto interno delle sentenze
della Corte Europea dei diritti dell’uomo
A
qualche mese di distanza dalla decisione della Corte di Strasburgo sul caso
Hannover c. Germania (su cui cfr., su questo sito, la cronaca di Giorgio
Repetto), il Bundesverfassungsgericht (BVerfG) si pronuncia sulla questione
dell’efficacia delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo nel
diritto interno, in particolare con riferimento ai processi il cui oggetto
sostanzialmente vi corrisponda (2 BvR 1481/04 PDF del 14 ottobre 2004). Il
BVerfG riprende e sviluppa il proprio precedente in materia (2 BvR 336/85
Pakelli-Beschluß, dell’ 11 ottobre 1985). In esso aveva già precisato che una
sentenza, con cui la Corte europea dei diritti dell’uomo accerti la violazione
della CEDU da parte di un tribunale tedesco, non ha “efficacia idonea a
rimuovere il giudicato” della decisione interna. Nondimeno, i tribunali
tedeschi sono tenuti a rispettare “il giudicato sostanziale (delle decisioni
della Corte di Strasburgo), con i rispettivi limiti soggettivi, oggettivi e
temporali” (nel caso di specie, il BVerfG aveva rilevato come i limiti
oggettivi della sentenza di accertamento della Corte europea non coprissero la
pretesa del ricorrente alla revisione del processo penale interno, lasciando
tuttavia impregiudicata la possibilità di un’incidenza sul procedimento
esecutivo).
Nel
caso in esame, la sentenza del tribunale costituzionale costituisce il culmine
di una vicenda processuale complessa. Il ricorrente, cittadino turco e padre naturale di un bambino dato in adozione dalla
madre, cittadina tedesca, senza il suo consenso, aveva instaurato un giudizio
per ottenere il conferimento della potestà genitoriale (elterliche Sorge).
In particolare, richiedeva la custodia del figlio (persönliche Sorge nel
sistema tedesco, custody secondo la Corte europea) ed il riconoscimento del
diritto-dovere di visita al bambino, che viveva presso una famiglia
affidataria. In una prima serie procedimentale, alla decisione favorevole di
primo grado dell’Amtsgericht (AG) Wittemberg (9 marzo 2001) era seguita quella
sfavorevole dell’Oberlandsgericht(OLG) Naumburg (20 giugno 2001) nonché il
rigetto, da parte del BVerfG con una decisione priva di motivazione, di una
Verfassungsbeschwerde (31 luglio 2001).
Contro
la pronuncia dell’OLG Naumburg, il ricorrente adiva la Corte di Strasburgo,
che, sulla base della sua giurisprudenza sulla salvaguardia dei legami
familiari e sulla “obbligazione positiva imposta a ciascuno stato di riunire il
genitore naturale ai suoi figli”, riteneva soddisfatti i presupposti per una
violazione dell’art. 8 CEDU (Görgülü c. Germania PDF, n. 74969/01 del 26
febbraio 2004). La Corte ha ritenuto che il margine di discrezionalità degli
stati, con riferimento alla clausola sulla “necessarietà in una società
democratica” di cui al 2° comma art. 8 CEDU, dovesse intendersi in senso ampio
rispetto alla custodia ed invece più stretto con riferimento al diritto di
visita. Ciononostante, non solo la decisione dell’OLG Naumburg, nella parte in
cui negava al genitore il diritto di visita, “rendeva praticamente impossibile
lo sviluppo di qualsiasi forma di vita familiare, (...) strappando il minore
dalle sue radici”, ma anche, escludendo a priori il diritto di custodia del padre
naturale, ometteva di considerare “tutte le soluzioni possibili al problema”,
concentrandosi solo sulle conseguenze imminenti dell’allontanamento del minore
dalla famiglia affidataria ed ignorando gli effetti di lungo periodo della sua
separazione dal padre. In entrambe le ipotesi, non veniva assicurato
l’interesse superiore del bambino (the best interest of the child). Accanto
all’accertamento della violazione, la Corte stabiliva che lo stato tedesco, pur
libero di scegliere i mezzi con i quali far fronte all’obbligazione sorta in
seguito alla sentenza, avrebbe dovuto “per lo meno assicurare al ricorrente la
possibilità di visitare suo figlio ”.
Nel
frattempo, il ricorrente aveva avviato un secondo e parallelo procedimento. La
sua richiesta di ottenere, in via cautelare, il riconoscimento del diritto di
visita veniva nuovamente rigettata in secondo grado dall’ OLG Naumburg (30
settembre 2003), il quale aveva tuttavia accolto la sua richiesta di sospendere
il procedimento di adozione instaurato contemporaneamente dalla famiglia
affidataria, fino ad una decisione definitiva sulla custodia. Nell’ambito di
questo secondo procedimento, l’AG Wittemberg ha ritenuto, in seguito alla
pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo, di dover conferire al
ricorrente la custodia esclusiva del figlio (19 marzo 2004), nonché di poter
emanare d’ufficio un provvedimento interinale con cui assicurare al ricorrente
un limitato diritto di visita. Tale
ultimo provvedimento, impugnato dai genitori affidatari e dallo Jugendamt
quale tutore d’ufficio del minore, è stato prima sospeso e poi annullato dall’
OLG Naumburg, perché adottato in difetto della domanda di parte, necessario
presupposto processuale (30 marzo e 30 giugno 2004). Secondo l’OLG Naumburg,
l’adozione del provvedimento d’urgenza non sarebbe giustificata nemmeno dal
contenuto della sentenza della Corte europea. Questa, infatti, obbligherebbe
direttamente “soltanto la RFT come soggetto di diritto internazionale, ma non i
suoi organi o i suoi uffici e segnatamente non i tribunali quali organi
indipendenti della giurisdizione ai sensi dell’art. 97 1° co. GG. L’efficacia
della sentenza si esaurisce pertanto de iure e de facto, salva una modifica
della legislazione interna, nell’accertamento e nella sanzione di una violazione
(...) avvenuta nel passato.” Per il
futuro, e rispetto ai tribunali tedeschi, una pronuncia dei giudici di
Strasburgo non è vincolante (unverbindlich).
Contro
questa decisione (14 WF 64/04 OLG Naumburg), il ricorrente solleva la
Verfassungsbeschwerde qui in esame. Secondo il BVerfG, il ricorso è fondato,
poiché la decisione impugnata viola l’art. 6 GG (protezione della famiglia) in
combinazione con il principio dello stato di diritto ai sensi dell’art. 20 3°
co. GG (Rechtsstaatsprinzip).
Nella
prima parte della motivazione, il tribunale costituzionale conferma la sua
precedente giurisprudenza sulla funzione ermeneutica svolta dalla CEDU
nell’interpretazione dei diritti fondamentali e dei principi dello stato di
diritto nell’alveo del Grundgesetz (da ultimo, BVerfG, 2 BvR 1570/03). È
giurisprudenza costante del BVerfG che le norme della CEDU siano insuscettibili
di essere un parametro diretto nei giudizi di costituzionalità. La CEDU, il cui
ordine di esecuzione nel diritto interno è contenuto in una legge ordinaria
(Gesetz über die Konvention zum Schutze der Menschenrechte und Grundfreiheiten
del 7 agosto 1952), ha nell’ordinamento tedesco il rango di quest’ultima (art.
59 2° co. GG). Tuttavia, le norme della
Convenzione e la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo
“servono, sul piano del diritto costituzionale, come sussidii interpretativi
(Auslegungshilfen) per la determinazione del contenuto e della portata dei
diritti fondamentali” del GG. Di questi deve darsi, “se possibile”, un’interpretazione
che non sia in conflitto con gli obblighi internazionali della RFT. Ciò in
virtù di quella philìa verso il diritto internazionale
(Völkerrechtsfreundlichkeit) che caratterizza la Legge fondamentale in virtù di
un ben preciso complesso di norme (artt. 23, 24, 25, 26, 26 GG) nonché del suo
preambolo. Tale Völkerrechtsfrundlichkeit, tuttavia, dispiega i suoi effetti
“solo nell’ambito del sistema demokratisch e rechtsstaatlich del Grundgesetz”.
Il BVerfG si sofferma sui presupposti teorici del rapporto tra diritto interno
e diritto internazionale, inquadrato in termini di dualismo: “la Legge fondamentale [ndr. Costituzione
provvisoria tedesca] riposa sull’impostazione classica, secondo cui il rapporto
tra diritto internazionale e diritto interno è quello di due circuiti giuridici
distinti e la natura di tale rapporto, nella prospettiva del diritto interno,
può essere determinata solamente dal medesimo diritto interno”. Sebbene la
Legge fondamentale aspiri all’integrazione della Germania nell’ordine
internazionale, essa “non rinuncia alla sovranità”, identificabile “nell’ultima
parola (spettante alla) costituzione tedesca”, la quale identifica limiti e
controlli rispetto alla sottoposizione ad atti d’imperio promananti da autorità
“non tedesche”. La stessa integrazione sovranazionale europea è concepibile
sulla scorta di una “riserva di sovranità, per quanto ampiamente ridimensionata
(weit zurückgenommen)”. Il diritto pattizio internazionale è valido
nell’ordinamento nazionale solo se in esso sia stato “incorporato in maniera
formalmente corretta ed in conformità con il diritto costituzionale materiale
(in Übereinstimmung mit materiellem Verfassungsrecht)”. Pertanto non è
incompatibile con la Völkerrechtsfreundlichkeit del Grundgesetz l’ipotesi in
cui “il legislatore, in via eccezionale, non rispetti il diritto internazionale
pattizio, nella misura in cui solo in questo modo si può impedire la violazione
di principi fondamentali (tragende Grundsätze) della costituzione”.
Nella
seconda parte della motivazione, il BVerfG affronta più specificamente il
problema dell’efficacia delle sentenze della Corte di Strasburgo con
riferimento alla res iudicata, per poi giungere nuovamente, nella terza parte,
a conclusioni di carattere generale. In virtù dell’art. 46 CEDU, gli stati che
hanno aderito alla Convenzione si sono impegnati a conformarsi alle sentenze
della Corte di Strasburgo che, se definitive (artt. 42 e 44 CEDU), hanno dato
luogo a giudicato formale. L’efficacia di tali sentenze negli ordinamenti
interni si misura con riferimento alla cosa giudicata sostanziale, di cui il
BVerfG ripetutamente sottolinea i limiti. Quelli soggettivi, poiché le sentenze
della Corte europea vincolano direttamente solo lo stato che è stato condannato
e non anche gli altri; quelli oggettivi, poiché l’efficacia della sentenza è
circoscritta alla fattispecie oggetto del giudizio; quelli temporali, poiché
sia le circostanze di fatto che la situazione giuridica possono
considerevolmente cambiare nell’arco di tempo che va dal passaggio in giudicato
della sentenza della Corte di Strasburgo all’ apertura di un nuovo procedimento
interno. Escluso che le sentenze della Corte abbiano efficacia costitutiva e
che quindi possano annullare le decisioni dei tribunali nazionali non conformi
alla CEDU, esse hanno invece efficacia di accertamento, cui si accompagna
un’efficacia di condanna nel caso di pagamento di un’equa soddisfazione ai
sensi dell’art. 41. Mentre dall’accertamento della violazione sorge l’obbligo,
in capo allo stato condannato, di ripristinare la situazione preesistente (restitutio
in integrum) nonché di porre termine alla violazione, ove essa ancora perduri,
il pagamento di un’equa soddisfazione, presupponendo una riparazione
“incomplet(a)” da parte dello stato, sembra escludere un’obbligazione immediata
per lo stato di adeguare il diritto, nonché gli atti amministrativi e
giurisdizionali interni, alla decisione della Corte. Tale ricostruzione, fatta
propria dallo stesso BVerfG nel Pakelli-Beschluß del 1985, è stata rifiutata da
recenti pronunce della Corte europea che, capovolgendo i termini della
questione, ha sostenuto che solo se “il diritto nazionale non permette, o
permette in maniera soltanto imperfetta, di eliminare le conseguenze della
violazione (con misure di carattere generale o individuale), l’art. 41 abilita
la Corte ad accordare alla parte lesa la soddisfazione che le sembri
appropriata” (Assanidzé c. Georgia, n. 71503/01, dell’8 aprile 2004, § 198;
nello stesso senso Maestri c. Italia, n. 39748/98, del 17 febbraio 2004, § 47;
Scozzari e Giunta c. Italia, n. 39221/98 e 41963/98, del 13 luglio 2000, §§
249-250).
Il
BVerfG, richiamando tale ultima giurisprudenza della Corte europea, ammette che
la mancata rimozione delle conseguenze della violazione già accertata dai
giudici di Strasburgo, è suscettibile di integrare gli estremi di una seconda
violazione. Da quest’impostazione, unita alla considerazione dell’obbligo, da
parte degli stati contraenti, di assicurare “l’effettiva applicazione di tutte
le disposizioni della Convenzione” nel diritto interno (art. 52 CEDU), il
BVerfG deduce che, fondamentalmente, “tutti gli organi del potere pubblico
tedesco sono vincolati alle sentenze della Corte”. In particolare, “anche ai
tribunali tedeschi fa capo l’obbligo di considerare (Pflicht zur
Berücksichtigung) le decisioni della Corte”.
Tuttavia,
e si giunge alla terza parte della motivazione, i tribunali sono tenuti al
rispetto “del diritto e della legge” (art. 20 3° co. GG) e non possono invocare
una pronuncia della Corte di Strasburgo per svincolarsene. Parimenti, alla
clausola di cui all’art. 20 3° co. GG “appartiene anche la considerazione (...)
della CEDU e delle decisioni della Corte”, in quanto incorporate nel diritto
interno attraverso una legge ordinaria. Una tale “considerazione” dovrà
avvenire secondo un’interpretazione “metodologicamente sostenibile” (methodisch
vertretbar). Ne consegue che “sia il mancato confronto con una pronuncia della
Corte, sia la sua “esecuzione” schematica in violazione di norme superiori”, in
particolare il diritto costituzionale, possono integrare la violazione dei
diritti fondamentali in combinazione al Rechtsstaatsprinzip. Una volta dedotto
dalla legge questo “obbligo di considerazione”, il suo contenuto è precisato
nel senso che il tribunale competente dovrà “per lo meno prendere atto” delle
disposizioni e della giurisprudenza CEDU rilevante e farli confluire nel
processo decisionale (Entscheidungsfindung), segnatamente nel giudizio di
proporzionalità (come già in 2 BvR 1570/03). Diversamente da quanto sostenuto
dall’OLG Naumburg, il confronto con le decisioni della Corte europea è quanto
meno “dovuto” (gebührend) e pertanto dev’essere “riconoscibile”, nel senso che
un esito difforme dagli orientamenti di Strasburgo dovrà essere attentamente
motivato.
Tale
eventualità è espressamente riconosciuta dal BVerfG con riguardo al diritto
privato, in particolare con riferimento al diritto di famiglia e degli
stranieri nonchè, richiamando la decisione della Corte europea Hannover c.
Germania, alla protezione del diritto generale della personalità. L’aspettativa
che i giudici nazionali conformino la propria giurisprudenza a quella europea,
fatta propria dal legislatore tedesco in occasione dell’introduzione, nel 1998,
di un ulteriore motivo di revisione della sentenza penale (§ 359 n. 6 StPO),
non può essere generalizzata a tutti i settori dell’ordinamento, specialmente
se le corrispondenti norme processuali consentono di investire il giudice di
domande nuove non interamente coperte dalla res iudicata del procedimento di
Strasburgo.
Ciò
implica che i giudici, nella “considerazione” delle decisioni della Corte
europea, dovranno tener conto delle loro ripercussioni all’interno
dell’ordinamento nazionale, soprattutto quando si tratta di “un sistema
parziale del diritto interno e bilanciato nelle sue conseguenze giuridiche”
(ein in seinen Rechtsfolgen ausbalanciertes Teilsystem des innerstaatlichen
Rechts; Teilrechtssystem; Teilrechtsbereich), in cui diversi diritti
fondamentali reciprocamente si bilanciano. A sostegno di tale conclusione, il
BVerfG riconduce l’argomento della partecipazione, al procedimento presso la
Corte, del solo ricorrente e dello stato contraente, con l’esclusione di
soggetti terzi, il cui eventuale intervento ex art. 36 2° co. CEDU non è
sufficiente a farne acquisire il ruolo di parte processuale. Spetta pertanto ai
giudici nazionali “adeguare una sentenza della Corte europea dei diritti
dell’uomo ai sistemi giuridici parziali dell’ordinamento nazionale volta a
volta interessati”, adeguamento che non può essere effettuato direttamente dalla
Corte europea.
In
conclusione, il BVerfG, pur non essendo di regola una Revisioninstanz, afferma
che le decisioni dei tribunali tedeschi sono sottoposte al suo controllo anche
in punto di interpretazione, qualora un’erronea interpretazione e applicazione
dei trattati internazionali possa dar luogo alla responsabilità internazionale
della Germania. In questo senso il tribunale costituzionale ritiene di essere
“al servizio, in via mediata, dell’esecuzione del diritto internazionale”. Ciò
è vero soprattutto rispetto alla CEDU, che contribuisce ad “uno sviluppo comune
europeo (gemeineuropäisch) dei diritti fondamentali”. Pertanto, “finchè
(solange), nell’ambito dei vigenti standard metodologici, rimangano aperti
margini” interpretativi, i tribunali tedeschi hanno l’obbligo di dare la
prevalenza all’interpretazione conforme alla convenzione. Un esito differente è
concepibile “solo quando il rispetto di una sentenza della Corte europea (…) si
pone palesemente in contrasto con il diritto legislativo vigente o con
disposizioni costituzionali, segnatamente i diritti fondamentali di terzi”. Ciò
potrebbe avvenire, come nel caso di specie, “nel caso di una modificazione
della situazione di fatto”. In ogni caso dev’essere “comunque possibile
lamentare, dinanzi al BVerfG, che gli organi statali non hanno preso in
considerazione una sentenza della Corte europea”. Il parametro è costituito dal
diritto fondamentale in questione insieme al Rechtsstaatsprinzip.
di
Alessandra Di Martino
Nessun commento:
Posta un commento